Saranno troppi? Non rischiamo di “stancare”?
Sono state queste le domande alle quali, più di tutte, ho cercato di dare una risposta negli ultimi mesi, da quando il patron del Festival Città di Caltanissetta (Tony Maganuco, n.d.r.), in un tardo pomeriggio di Dicembre negli studi di Radio CL1 ci chiese: “quando ci vediamo per il Festival?”. E lo fece con una “piacevole -e per me orgogliosa- leggerezza”, come se fosse scontato e già deciso, in automatico.
Intendiamoci, non ho mica la “sindrome da Pippo Baudo”, dal quale eredito solo la sicilianità, ma dopo tre anni alla guida di una macchina che, credetemi, da dentro è molto più grande e “pesante” di quello che sembra dall’esterno, hai il dovere almeno di chiederti se un altro anno su quel palco possa essere “di troppo”.
Te lo chiedi perchè la responsabilità di quel palco te lo impone, così come te lo impongono il prestigio e la storia di una manifestazione che tra non molto compirà trent’anni.
Per capirci meglio però dobbiamo fare un piccolo salto indietro nel tempo.
Io, il Festival, lo guardavo da piccolino in TV, su quel palco ho visto passare gente come Lucio Dalla, Gino Paoli, Luca Carboni, Alex Baroni e potrei continuare ancora (non saprei in realtà chi ricordare prima), quando ad un certo punto, sopra le tavole del Margherita, mi ci sono ritrovato anche io.
Immaginate voi quali possano essere state le mie sensazioni, perché non sarebbe semplice scriverle.
A dire il vero non ho cominciato da subito in prima linea, per i primi cinque anni ho vissuto questa esperienza da “quasi” protagonista sul palchetto di Radio CL1, ai lati del palco, una posizione (non solo fisica) che mi ha permesso di conoscere da vicino la macchina del Festival e di entrare in questa grande famiglia e di respirare quell’atmosfera assolutamente unica che non ho mai trovato da nessuna parte. E ogni anno con la stessa grande emozione dell’anno precedente, sempre.
Ho avuto il privilegio di scegliere in ogni edizione, sin dal primo anno, i brani da portare in gara, l’onore e l’onere di giudicare quei ragazzi seduto in giuria, la possibilità di portare un’innovazione (la diretta radio fatta in un certo modo) che comunque ha rappresentato una grandissima novità e ha legato indissolubilmente il mio e il nostro nome a questa splendida manifestazione.
Poi, improvvisamente, è arrivata la “promozione”: dal palchetto sono passato al palco, sempre al fianco di Donatello e ho condotto per la prima volta il “mio” Festival, nel 2014. Era la 23esima edizione, con noi i compagni di viaggio di sempre e anno dopo anno tre compagne di palco: Mariangela Rizza, Francesca Cipriani e Francesca Ceci.
Di palchi ne ho fatti, non ho mai avuto paura del microfono né tanto meno del pubblico, anzi, per chi come me viene dalla radio e vive lo spettacolo più frequentemente davanti ad un microfono che sopra ad un palco questa è adrenalina pura, ossigeno per quella parte di anima che sta sempre lì ad aspettare il suo momento.
Ma il Festival è diverso da ogni altro palco, diverso da ogni diretta esterna con duemila persone davanti, è un’emozione forte, intensa, un carico di ansia molto particolare che difficilmente ho trovato da altre parti. E quel primo anno è stato pieno di paure, di ansia da prestazione. Poi è andata bene, anzi, benissimo.
Il secondo anno è stato ancora più carico d’ansia, quella generata dall’aspettativa di chi deve fare meglio dell’anno prima o, almeno, uguale. E anche quella volta abbiamo centrato l’obiettivo.
Infine il terzo anno, quello in cui conosci ormai come vanno le cose e per questo rischi di fallire. Non è successo, neanche la terza volta.
E adesso? E adesso tornano le domande con cui ho iniziato questo post: “Saranno troppi? Non rischiamo di “stancare”?”
Boh, forse si, qualcuno si stancherà, altri invece ci aspettano perché comunque in tre anni si sono divertiti anche grazie a noi, altri ancora ci scopriranno… abbiamo la stessa, fortissima squadra di sempre, alcune new-entry che sicuramente daranno il loro prezioso contributo e il magico, bellissimo Teatro Margherita.
“Chiamalo che viene”, come ci piace dire da queste parti, il Festival ha quasi trent’anni e come lui, nell’epoca della musica e del web alla portata di tutti, sopravvivono altri pochi vecchietti in Italia, tra i quali Castrocaro (a cui siamo legati da una partnership) e il ben più blasonato Festival di Sanremo. Nonostante questo, nonostante le critiche, ci siamo noi che in una città così difficile, in un modo o nell’altro tentiamo ogni anno di regalarvi qualcosa di speciale (lo dico con orgoglio), qualche giorno di divertimento e di vere emozioni.
E, credetemi, è sempre più difficile, per mille motivi.
Sei convinto che in quei tre giorni tutti gli occhi siano puntati su di te, ma non è proprio così. In mezzo alle nostre emozioni c’è una gara, ci sono dei ragazzi con i loro sogni e con le loro emozioni che scelgono, nel 2017, di confrontarsi con un pubblico vero, con un teatro, con dei giudici in carne ed ossa e non su un social network, dove è tutto più facile.
Anche arrivare in alto.
Messi da parte i dubbi, tra poco più di un mese si parte e sarà un’altra bellissima avventura.
Buon Festival a voi, se ci sarete!