Partiamo da un presupposto: non sono un recensore, non lo sono mai stato e mai lo sarò probabilmente, così come non sono uno che ne capisce chissà quanto di musica, nonostante faccia parte della mia vita da sempre in diverse e molteplici forme. E non sono neanche un critico ma, importante, sono sempre stato molto critico, con me stesso e con gli altri, essenzialmente per un unico motivo: sono un rompipalle, pignolo, preciso e talvolta un po’ perfezionista. Vi dico anche che mi dilungherò un po’, ma l’argomento merita qualche parola in più di un post su Facebook o di un tweet.
Quello di cui vi parlo oggi però va al di là della tecnica musicale, della produzione, degli arrangiamenti e di tutte quelle cose che, quando ascoltate un disco, lasciano il tempo che trovano: sto parlando di vibrazioni e di emozioni, due concetti spesso abusati, anche quando non ce n’è alcuna traccia.
Ma non è questo il caso, anzi.
Andiamo al titolo del post e al dunque: I Gattini di Salem. Il 23 Dicembre esce questo “riassunto” dei loro primi due anni di musica, 15 brani totalmente risuonati che comprendono quelli del primo EP pubblicato un anno fa e 7 (ufficialmente) mai pubblicati. Oggi i Gattini di Salem sono diversi da quelli che erano pochi mesi fa, sono cinque musicisti che hanno lavorato tanto per raggiungere il risultato che ascolterete. E questo si sente.
Ho detto “si sente” e non “si ascolta” appositamente, perchè non è con le orecchie che si sentono i loro sacrifici e la grande cura in quello che hanno fatto. Si sentono le ore di prove, i giorni in sala, gli occhi consumati davanti alle sessioni infinite di editing, le tensioni, il loro volersi bene, si sentono le emozioni che hanno messo sui palchi che hanno calcato in questi mesi (uno dei quali, forse il più importante, con i Tre Allegri Ragazzi Morti, che li hanno voluti come opening-band nella loro data catanese).
Ciascuno ci ha messo tanto del suo e non è sempre così scontato che questo accada: Daniele (voce e chitarre) ha messo vere lacrime, veri sorrisi, vera rabbia, vera felicità e vero dolore in quelle parole e in quelle note, Mattia (basso) ha messo le vibrazioni profonde a supporto di quelle parole e di quelle note, Michele (chitarre) ha regalato altre sei preziosissime corde suonate in maniera eccellente, le mani di Ciccio hanno segnato il tempo su quel cajon e infine la “new-entry”, Silvio, ha aggiunto la sua voce e portato l’elettronica dei suoi synth rendendo il tutto estremamente completo e unico. E infine si guardano le illustrazioni di Flavia Voosa Cocca, artista emergente considerata la sesta componente della band.
Il risultato in questo disco, bello da ascoltare, vedere e toccare, è un viaggio tra le parole dal suono incredibilmente pieno, equilibrato, dalle mille sfumature di genere, anche perchè, in realtà, il genere dei Gattini non ha neanche un nome preciso, forse. I Gattini sono una band vera, sorprendentemente matura nella scrittura e sul palco, nonostante la loro giovane età in gruppo ma grazie alle esperienze di ciascuno di loro.
Come dicevo all’inizio, però, non ho scritto questo post per parlare del disco (che esce il 23 Dicembre in digipack e in tutti gli store digitali), ma di come mi sorprendo sempre nel riuscire a toccare con mano la corrispondenza tra le emozioni reali, la vita vissuta e le stesse emozioni ed esperienze trascritte in musica, non è sempre possibile riuscire ad avere questo punto di vista, anzi, non può mai capitare a meno che non sia tu a scriverla, la musica.
E per questo, cari Gattini, vi ringrazio per avermi permesso di assistere a bocca aperta a tutto questo.